Mi alzo in piedi, tolgo repentinamente il mio armamentario
dal tavolo della biblioteca e lo infilo nello zaino. I miei Canti di Leopardi sono usurati, le
pagine sono stanche di essere sfogliate ed io, oramai, provo il vomito ad
odorare quell’opera. Ritorno in appartamento, congedo il mio coinquilino e
prendo il treno per rincasare per il weekend: “Ci vediamo a Vittorio Veneto,
vecchio mio…” – affermo affettuosamente, lui mi risponde con un cenno e mi
colpisce con un amorevole e paterno schiaffo. Sono un paio di notti che non
dormo, mi interrogo e lui conosce il motivo: il motivo si chiama Carla. Io e
Carla ci siamo frequentati per un mese o poco più, un rapporto acerbo che è
collassato su sé stesso. Niente di serio, vanità e banalità che l’università ti
offre e tu, stoltamente, ti senti in dovere di cogliere al volo come un pallone
che viaggia a metà altezza e tu colpisci in tuffo a pesce. L’impatto avviene,
ma è sempre complicato comprendere dove si spegnerà la sfera. Una sfera che
tradizionalmente non vuole mai insaccarsi in rete e preferisce lambire i legni
di una metaforica porta chiamata esistenza.
Sono in treno e ascolto i Marlene Kuntz, Carla è la canzone che risuona meccanicamente nelle mie
orecchie e ripenso a questa ragazza dai capelli corvini e occhi glaciali. Io e
Carla non abbiamo mai intrattenuto un gran dialogo, ci siamo incrociati e
qualcosa è accaduto. Nessun trasporto emotivo mi affliggeva durante quel
viaggio verso casa, bensì una continua interrogazione sul femminile ed i suoi
atteggiamenti. Il dover fare da carnefice mi è sempre stato d’ingombro e,
nuovamente, ho dovuto pronunciare una sentenza pleonastica, ma altresì
necessaria. "Ho il cuore pieno di cicatrici", sosteneva. "Prova a perdere tre finali mondiali", pensavo. Poco importa di Carla, pazienza per Elena che mi manca perché
quattro anni di relazione disgregati in una mattinata di gennaio si fanno
sentire in questi momenti, questo fine settimana c’è il NAC Breda. Ebbene la
mia squadra si gioca lo scontro salvezza contro il Roda JC, in casa, forte del
1-0 dell’andata. Una partita che genera elettricità nell’aria. L’atmosfera a
casa è pesante, mio padre mi saluta una volta arrivato e discutiamo brevemente
dell’imminente match. Vado a dormire, ma prima rileggo qualche lirica del
Leopardi. In maniera sonnolenta e poco partecipe.
Mi alzo la mattina seguente, penso a Carla e tiro un pugno
sul muro. Non è possibile che ci si comporti così, deglutisco e scruto la mia
scarpa del NAC per una buona oretta. La tengo vicino ai miei libri, è un appiglio metaforico in questa tesa mattinata. Stento a fare colazione, guardo il
telefono, un messaggio ricevuto: “Ehi vecchio, tutto bene?”. È il solito coinquilino e
amico di una vita, il messaggio però non parla di Carla, parla del NAC. “Sì,
sì, sono in una tremenda agitazione.”, rispondo velocemente. Arriva il primo
pomeriggio, mi piazzo sul divano e la partita ha inizio. Il NAC non tiene
assolutamente il campo, non riesce a gestire il vantaggio e prende una rete
scottante: Paulissen al 43’ porta in
vantaggio il Roda. Tutto da rifare. La ripresa è una vera e propria sofferenza:
Jelle ci toglie dallo specchio della porta un paio di conclusioni pericolose e
Seuntjens si fa cacciare dal terreno di gioco per un fallo oltremodo sciocco. Swinkels, centrale colorito del
Roda JC, decide di fare lo stesso e la parità numerica è ripristinata. Si sconfina
nei supplementari e le mie speranze si fanno sempre più flebili. Il NAC
guadagna un corner, Tighadouini va alla battuta e sbuca Marcellis: GOAL! Il pallone entra di circa un centimetro, varcando
inesorabilmente la linea. Pareggio, siamo ancora vivi. Una rete sporca, voluta
e di cuore, come il sottoscritto. Una volta arrivata la conferma della marcatura
del nostro capitano caccio un urlo da eroe omerico, abbraccio veemente mia
madre e comincio a saltare sui divani come se non ci fosse stato un domani,
accompagnato dal mio cane che diviene incosciente partecipe della festa.
Scoppio in lacrime, lacrime di gioia. Piango, alla stregua di quando Sneijder decise di
infilare il miracolato Ochoa in un Olanda - Messico dell’estate precedente e
pareggiare la gara a ridosso del tempo regolamentare. Lo stesso Sneijder tanto amato da Elena, che momentaneamente salvò la
nostra relazione all'88' di quel paradossale match, poiché il calcio offre epifanie che
una persona non può che cogliere al volo. Grazie Marcellis, grazie di
cuore.
Vada al diavolo Carla, ha segnato Marcellis e possa pure
prendere la via degli inferi Federica. Sì, Federica che mi osserva malignamente
in biblioteca e che suole intrattenere un gioco di sguardi: una sfida a chi
abbassa il volto per primo. Rigorista e portiere, nervi tesi e chi domina la
pressione porta a casa il risultato. Peccato non sappia batte i rigori, sono un
terzino ed un centrale difensivo adattato, come Marcellis. Oggi la mediocrità però ha fatto goal e poco importa.
La partita prende una piega favorevole al NAC Breda, ma
Naah e Tighadouini falliscono la rete del decisivo 2-1 che ci avrebbe regalato
la certezza della permanenza in Eredivisie. Già, una certezza che con il
femminile non puoi mai dire di possedere. Van Hyfte, 2-1 Roda ed il
sottoscritto si porta le mani nei capelli. Carla, Federica, Elena perché mi
fate questo? Non ho mai smesso di credere nella salvezza e sino all’ultimo
minuto urlavo per incitare i ragazzi. Probabilmente cercavo di animare anche
me stesso. Tighadouini guadagna una punizione dal limite al 120’, alla battuta va
lui perché è l’uomo della provvidenza, destro a giro: fuori di un soffio.
Fischio finale, NAC Breda retrocesso nella serie cadetta. Buio totale, realizzo
di essere stato sconfitto da una settimana amara, anzi da un anno amaro. Piango,
forte e per diverso tempo. Mi distendo a terra e abbraccio il mio cane. È morto
qualcosa dentro di me quel giorno, un qualcosa che sarebbe rinato solo pochi
mesi dopo. Mi guardo intorno e sospiro. Non ho fame o sete, sono sudato e
stanco come avessi giocato io quella partita o, per meglio dire, come l’avessi
persa io quella partita. La seconda sconfitta di quella settimana, l’ennesima
sul lungo periodo. La rivincita non è avvenuta, non ne siamo stati in grado. Io
e quel branco di ragazzi che vestono di giallonero, figli di una madre sfortunata. Ci si giocava qualcosa di
più quel pomeriggio, loro lo sapevano e non ci siamo riusciti, il fato ha eretto un muro. Io, da solo in
casa sbatto la testa contro la parete, il malessere non è dicibile. Ho perso, ancora, non me ne capacito.
Vorrei scrivere a Carla, dirle che è stata lei a far retrocedere il NAC Breda,
non avrebbe capito, non ci siamo mai compresi. Elena mi scrive. Elena sa che
amo follemente il NAC Breda, mi chiede come sto e le rispondo malamente. È
inevitabile, il NAC Breda è stato sconfitto. Penso, mi tormento e mi chiedo
perché Robben non superò Casillas, perché Resenbrink nel ’78, perché il
cucchiaio di Totti. Nazionale dannata, come il NAC, come il sottoscritto.
Incapaci di vincere, invisi a qualche divinità.
Mi rifugio nel pub del paese, i miei amici ciarlano, ma non
riesco ad ascoltare nulla. Sono alienato dal dolore sportivo. Ordino una birra,
color giallo paglierino e l’ombra del boccale è nera. Giallo e nero. Giallo
come il fiore che posai sui capelli di Carla, neri come la pece in uno dei
nostri incontri. “Stai davvero bene con questo fiore.”, le dissi. Lei non sapeva
che volevo ricreare i colori della mia squadra del cuore servendomi della sua
figura, ignara mi sorrideva e mi guardava fiduciosa in quel pomeriggio afoso di
maggio, dopo una lezione sul Decameron di Boccaccio. Condivideva non conscia il mio
amore, ne era immagine, non sostanza. Io mi persi in lei in quel momento
posticcio, ma non andai oltre l'intermittenza temporale. Una volta realizzato che Carla non
era il NAC, ma bensì un artificio, il mio dolore si estinse e con esso il
pensiero di Carla.
Risolvo la pratica mentale Carla, ma non riesco a capire perché mi senta in dovere di tifare NAC Breda. Una volta rientrato a casa, apro sommessamente Leopardi, La ginestra.
"Come la ginestra nata sulla pietra lavica mi vedo lottare come mosca nel bicchiere eppure Dio, lo lascio fare" ( La morte - Baustelle ) |
Leopardi tifava sicuramente una squadra del calibro del NAC. Recepisco la risposta ottocentesca e chiudo il libro. Ricomincio ad esistere.